Le fonderie italiane puntano sulla sostenibilità

La 70a Assemblea Generale Assofond conferma la ripresa del settore. Nel 2017 la produzione italiana di getti ha raggiunto 2,23 milioni di tonnellate e il fatturato è cresciuto dell’8,6% a 7 miliardi di euro. Un’evoluzione nel segno dell’economia circolare, testimoniata dal Primo rapporto di sostenibilità dell’industria di fonderia italiana

di Roberto Guccione

Con circa 200 persone intervenute e oltre 50 fonderie rappresentate da più di 80 imprenditori, dirigenti e collaboratori, l’edizione 2018 dell’Assemblea Assofond ha fatto registrare un’ampia partecipazione sia da parte delle aziende associate sia da parte del pubblico. L’evento, che si è tenuto nello storico stabilimento IVECO di Brescia, è stato interamente dedicato a un tema sempre più decisivo per tutti i comparti industriali e non solo: la sostenibilità. Nel corso della parte pubblica dell’assemblea, intitolata significativamente “Fonderia e automotive: la sfida della sostenibilità”, questa tematica è stata affrontata dai relatori intervenuti sotto due diversi punti di vista: da un lato si è analizzata l’evoluzione in senso sostenibile – non solo in ambito ambientale, ma anche economico e sociale – dell’industria di fonderia italiana, dall’altro si è cercato di analizzare quali saranno le prospettive del comparto alla luce della sempre più marcata “rivoluzione sostenibile” cui stiamo assistendo in uno dei settori più importanti fra i clienti delle fonderie, quello dell’automotive, da anni alla ricerca di alternative efficaci ai carburanti fossili. A illustrare l’evoluzione sostenibile delle fonderie è stato in particolare, oltre al presidente di Assofond Roberto Ariotti, il prof. Stefano Pogutz del Dipartimento di Management e Tecnologia dell’Università Bocconi di Milano, che ha moderato l’incontro e presentato al pubblico il primo rapporto di sostenibilità dell’industria di fonderia italiana. Di come sta cambiando l’automotive e di quali potranno essere le conseguenze per le fonderie hanno invece parlato il Direttore di Anfia Gianmarco Giorda, il prof. Carlo Mapelli del Dipartimento di Meccanica del Politecnico di Milano e Jesus Chavida di IVECO.

Una crescita trainata dall’export
Nel suo intervento, il presidente Ariotti ha illustrato i numeri dell’industria di fonderia italiana. La produzione di getti ferrosi nel 2017 è stata di 1,23 milioni di tonnellate, con una crescita del 7,2%. A questo si aggiunge oltre 1 milione di tonnellate di getti non ferrosi, +7% rispetto al 2016. La crescita produttiva si è anche fatta sentire sul fronte del fatturato con 7 miliardi di euro di valore complessivo, in incremento dell’8,6% sul 2016. Riguardo all’anno in corso, la dinamica produttiva del settore conferma una tendenza positiva anche nei primi mesi del 2018. Il presidente ha poi sottolineato come le fonderie italiane siano un anello importante della manifattura europea, il cui fatturato aggregato è di 40 miliardi euro. In Europa l’industria di fonderia italiana segue immediatamente la Germania, mentre nel panorama mondiale si conferma al decimo posto. La produzione mondiale di getti si attesta intorno ai 105 milioni di tonnellate, di cui il 71% realizzata in Asia, il 15% in Europa e il 13% in America. Mentre in Africa appena l’1%. Nonostante la rapida ascesa della Cina, che rappresenta il primo produttore mondiale con 47,2 milioni di tonnellate e una quota superiore al 45%, la fonderia europea continua a rivestire un ruolo importante nel panorama internazionale: con 15.4 milioni di tonnellate, rappresenta infatti il 15% dell’output mondiale. Dopo le due fasi recessive che hanno caratterizzato il ciclo economico europeo tra il 2008 e il 2013, la ripresa che è seguita è stata contraddistinta da tassi di espansione diversi tra i principali competitor europei. Italia e Germania sono accomunate da un ritmo di crescita simile, migliorativo per l’Italia nell’ultimo anno (+7% contro il +5% della fonderia tedesca). In Francia il ritmo di espansione è stato più debole; in Turchia, a partire dal 2013, si è manifestata una fase di accelerazione tale da determinare una crescita del +67% rispetto al 2010. La fonderia italiana è la prima per crescita nell’area euro soprattutto grazie all’export, che pesa ormai per una quota del 64% sul fatturato.
La caduta dell’export italiano complessivamente inteso nel periodo 2008-2009 è stata la più ampia nella UE28, ma dal 2010-2011 le vendite all’estero hanno registrato una crescita a ritmi analoghi a quelli della Germania e superiori a quelli della Francia, benché molto al di sotto rispetto alla Spagna. In quasi dieci anni di crisi le esportazioni italiane dei prodotti di fonderia hanno avuto una performance decisamente più elevata della media manifatturiera con un’espansione, in termini di volumi, superiore al +30%. Le fonderie hanno mostrato quindi un’ottima capacità di riallocare le vendite sui mercati esteri. Roberto, Ariotti ha ricordato che “I nostri prodotti sono ad alto valore aggiunto, non commodity. Il fatto di trovarci a competere con tedeschi e scandinavi è un chiaro segnale dell’altissimo tasso di innovazione dei nostri prodotti: esportiamo innanzitutto know-how e una tecnologia che tutto il mondo ci invidia. Tengo a sottolineare”, ha dichiarato poi con decisione, “che questi risultati sono frutto anche del fatto di aver operato in un’area con una moneta forte e stabile come l’euro. Euro che ci ha supportato e ci permette di avere costi del denaro e degli investimenti capaci di garantire una competitività significativa. Qualsiasi ipotesi di un suo abbandono rischia di creare conseguenze devastanti su tutto il sistema industriale italiano”. Ariotti ha concluso la propria relazione rilanciando il tema della sostenibilità, al centro dell’intera giornata di lavori, introducendo quanto emerge dal rapporto di sostenibilità realizzato da Assofond: “Non parliamo di sostenibilità perché è oggi un tema di moda. Fin da quando sono entrato in azienda, diversi anni fa, si sono sempre valutati riferimenti al riciclo nel computo costi benefici del nostro business. Per questo abbiamo voluto mettere nero su bianco in questo report di sostenibilità ciò che fa parte del nostro modo di operare da sempre. Abbiamo solo voluto comunicarlo meglio, per far capire a tutti gli stakeholder come l’industria italiana abbia performance ambientali superiori persino a quelle dei nostri competitor del nord Europa. Il sistema delle fonderie italiane è basato soprattutto su aziende familiari. Per questo, anche sul fronte della sostenibilità, abbiamo sempre cercato di lasciare ai nostri figli un’azienda capace di essere sempre più compatibile con l’ambiente che la circonda. Un circolo virtuoso che vogliamo prosegua anche per il futuro”.

Le fonderie al centro dell’economia circolare
A presentare nel dettaglio il primo rapporto di sostenibilità dell’industria di fonderia italiana è stato il prof. Stefano Pogutz, che ha illustrato il lavoro compiuto da Assofond: un’analisi a 360° sull’industria fusoria italiana, dalla quale sono emerse indicazioni significative circa gli investimenti che le imprese del settore hanno compiuto negli ultimi anni per garantire la sostenibilità del proprio business. Il rapporto evidenzia innanzitutto come il settore si possa considerare a pieno titolo un comparto chiave per la transizione a un sistema economico di tipo circolare, grazie alla sua capacità di recuperare e di riciclare rottami per realizzare nuovi prodotti. Questo permette non solo di ridurre il ricorso alle discariche per le operazioni di smaltimento dei rottami, ma anche di evitare emissioni di C02 legate alle attività di estrazione, produzione e trasporto di materie prime. Inoltre, dal report emergono numeri interessanti e indicativi di quanta strada le fonderie abbiano fatto e stiano facendo per migliorare sempre più la sostenibilità delle proprie attività di produzione, come ad esempio il dato relativo agli investimenti in ambito ambientale: nel 2015 le fonderie hanno destinato a interventi di riduzione dell’impatto ambientale il 28,5% del totale degli investimenti realizzati, superando nettamente la percentuale fatta segnare dal settore manifatturiero nel suo complesso (2%) e anche dal settore metallurgico (4,1%). È proprio grazie a questo impegno che le fonderie, negli ultimi anni, hanno potuto sviluppare tecnologie in grado di accrescere l’utilizzo di materiali di recupero come materia prima per tutti i tipi di forno fusorio, di ridurre drasticamente le emissioni di polveri nell’atmosfera (-65% dal 2003) e la produzione di rifiuti per tonnellate di getti prodotti (-26,6% dal 2000 al 2015), di riutilizzare la quasi totalità delle terre esauste prodotte e dell’acqua prelevata per garantire il raffreddamento degli impianti produttivi. Ma le fonderie italiane non sono soltanto attente all’ambiente: anche le altre due dimensioni della sostenibilità, quella economica e quella sociale, sono affrontate in dettaglio nel report, dal quale emerge l’immagine di un settore composto per lo più da PMI a conduzione familiare, finanziariamente stabili e capaci di autofinanziarsi, attente alla valorizzazione delle risorse umane e alla creazione di lavoro e di opportunità di sviluppo per il territorio e le comunità dove le imprese sono insediate.

La mobilità sostenibile: cosa cambia per le fonderie?
Quale sarà il ruolo delle fonderie nell’industria automobilistica del futuro? Quali prospettive si aprono per il comparto di fronte alla rivoluzione della mobilità sostenibile? Come cambiano le esigenze dei committenti dell’automotive? Attorno a queste tematiche si sono sviluppati gli altri interventi della giornata: il direttore di Anfia Gianmarco Giorda, il prof. Carlo Mapelli, ordinario di metallurgia al Politecnico di Milano, e Jesus Chavida di Iveco hanno sottolineato i vari aspetti di questa transizione verso una mobilità a emissioni zero. “L’automotive ha dato un contributo significativo all’uscita dalla crisi”, ha rimarcato il direttore di Anfia. “Basti pensare che nel mondo l’output di auto in 17 anni è passato da 56 a 98 milioni di veicoli all’anno, grazie soprattutto ai crescenti consumi in India e Cina: paesi che guideranno gli acquisti anche in futuro, dal momento che l’Europa coprirà solo l’11% dei consumi”. Il futuro sarà anche condizionato da un significativo cambio di trend sul fronte delle propulsioni. “Come Anfia stimiamo che le alimentazioni alternative, che oggi rappresentano circa il 7% delle immatricolazioni, arriveranno in quattro anni a raddoppiare la propria quota di mercato, con l’auto diesel che perderà circa 1,5 milioni di unità, a favore anche delle auto a benzina”. Un calo per le auto a gasolio che si è già tradotto in un -10% di immatricolazioni a maggio, anche se per Giorda il calo della messa in circolazioni di auto diesel non contribuirà a ridurre le emissioni di C02: la resa di un diesel Euro 6 è infatti sotto questo punto di vista migliore rispetto a un motore a benzina. Sulla transizione verso l’auto più verde, Giorda ha evidenziato come le norme europee si facciano sempre più stringenti, ma quel che servirebbe sarebbe un piano per una transizione più graduale verso auto ad alimentazioni alternative rispetto allo stato attuale di deregulation. “Per ridurre le emissioni di C02 delle auto serve eliminare peso”: con questa semplice equazione Carlo Mapelli, docente del Dipartimento di Meccanica del Politecnico di Milano, ha sintetizzato il percorso che tutte le case automobilistiche stanno affrontando per poter rispettare i nuovi limiti emissivi europei che entreranno in vigore nel 2020. Se il mondo dei metalli utilizzati per telai e carrozzerie si è già mosso in questa direzione con nuove tipologie di acciaio, lo stesso dovrebbe fare quello dei getti di ghisa, il cui utilizzo cambierà in maniera sensibile con l’avvento dell’auto elettrica. Finché vi saranno alimentazioni ibride l’industria fusoria non dovrebbe essere particolarmente penalizzata dai nuovi modelli, anzi, potrebbe veder incrementati i propri volumi, perché anche la componentistica di un’auto elettrica vede l’impiego sia di getti in ghisa sia di getti di metalli non ferrosi. Il messaggio di base resta comunque quello che anche l’industria fusoria per mantenere gli impieghi attuali o trovarne di nuovi dovrà essere pronta a innovare nel prossimo futuro. Jesus Chavida di IVECO ha portato la testimonianza dell’industria e ha illustrato le motivazioni che hanno spinto l’azienda a puntare sul metano per l’alimentazione dei mezzi pesanti. Il gas naturale, nelle forme compresse o liquide (LNG), è nella visione di IVECO l’unica soluzione tecnologica matura a costi competitivi immediatamente disponibile: per questo l’azienda negli ultimi anni ha deciso di concentrarsi su questa tecnologia, estendendo progressivamente la metanizzazione a tutte le gamme di veicoli fino ad arrivare, nel 2016, all’introduzione del primo trattore stradale per lunghe distanze. Una scelta che ha portato IVECO a essere oggi il costruttore di veicoli commerciali con l’offerta più completa di veicoli a gas.