I dazi Usa alla prova dei mercati

Il dazio del 10% sulle importazioni di alluminio non riuscirà a innescare un rapido aumento della produzione Usa di primario, largamente insufficiente per rispondere alla domanda interna di metallo. Ancora incerto l’impatto delle nuove tariffe sul sistema europeo dell’alluminio

di Massimo Grifone, Director, Cauvin Metals

Lo scorso 1° marzo, nonostante le aspettative della maggior parte degli operatori americani, che preferivano la seconda raccomandazione del Dipartimento del Commercio degli Stati Uniti (23,5% di dazio sulle importazioni da Cina, Russia, Vietnam e Venezuela), ritenuta la più efficace per frenare la sovra capacità cinese e per rafforzare l’industria primaria statunitense, il presidente degli Stati Uniti Donald Trump ha annunciato l’introduzione di dazi commerciali del 25% sulle importazioni di acciaio e del 10% sulle importazioni di alluminio per un periodo indefinito. Le tariffe sono in vigore da venerdì 23 marzo alle 00:01, ora di New York. Si tratta di un evento di grande rilievo che potrebbe cambiare i flussi di alluminio nel mondo e le dinamiche dei prezzi e dei premi. Il presidente ha poi rivisto in parte la sua posizione introducendo la possibilità di non applicare il dazio ai partner commerciali più stretti e, più in generale, agli Stati che firmeranno accordi commerciali più favorevoli agli interessi americani. Difatti, i partner nordamericani dell’area di libero scambio, il Messico ed il Canada, sono stati esclusi dai dazi al momento della firma. Il Canada e il Messico sono un “caso speciale” e, secondo i proclami ufficiali, sono stati esentati dalla tariffa per “la prossimità fisica delle nostre rispettive basi industriali e la solida integrazione economica tra i nostri paesi”. Tuttavia, la permanenza dell’esenzione dipenderà dall’esito della rinegoziazione del trattato commerciale Nafta. Qualche giorno dopo è stata esentata anche l’Australia. Trump ha anche affermato che le esclusioni potrebbero essere concesse a beni che non sono prodotti in quantità o qualità sufficienti negli Stati Uniti, o a prodotti che sono soggetti a specifiche “considerazioni basate sulla sicurezza”. La situazione è dunque in continua evoluzione e, pertanto, le conseguenze sono di difficile previsione.

Dazi in arrivo anche per i semilavorati?
Più chiare appaiono invece le motivazioni alla base dell’introduzione dei dazi. Così, leggendo il testo della proposta, risulta che la commissione che ha elaborato le misure restrittive ha caldeggiato soprattutto l’ipotesi di introdurre dazi sul primario, con l’obbiettivo di favorire il ritorno dell’industria statunitense dell’alluminio ai livelli di produzione del 2012.
Dal 2012 al 2016, la produzione statunitense di alluminio primario è scesa del 60% e il tasso di dipendenza dalle importazioni di alluminio è salito dall’11% al 52% (figura 1). Sebbene le politiche di protezionismo e le restrizioni commerciali fossero presenti nella campagna presidenziale di Trump, le denunce relative alle esportazioni cinesi di alluminio erano già state depositate presso l’OMC dal presidente Obama. La figura 2 mostra che la Cina è il maggiore esportatore di semilavorati di alluminio negli Stati Uniti e che i semiprodotti di alluminio cinesi tendono ad avere prezzi molto più bassi rispetto a quelli provenienti da altri paesi.
La commissione sostiene la necessità di applicare i dazi anche ai semilavorati, perché imporre una tariffa solo sull’alluminio primario sarebbe devastante per i produttori americani di semiprodotti, dal momento che non sarebbero in grado di competere con i fabbricanti cinesi a buon mercato se l’alluminio primario domestico diventasse più costoso. Una tariffa applicata solo alla Cina potrebbe far aumentare le esportazioni di altri Paesi verso gli Stati Uniti. L’impatto netto sarebbe rappresentato dai prezzi più elevati del LME, dai prezzi più bassi degli SHFE e dal premio fisico più elevato sia negli Stati Uniti che in altri Paesi. Ecco perché il dazio, almeno allo stato attuale, è stato esteso, altre alla Cina, anche ad altri Paesi, come la Russia, ma con l’esenzione degli stati alleati degli Stati Uniti come il Canada e l’Australia e, per motivi di vicinanza territoriale e alto livello di integrazione con l’industria americana, il Messico. Il 22 marzo Trump ha autorizzato la sospensione fino al primo maggio dei dazi sulle importazioni di acciaio e alluminio, oltre che da Brasile, Argentina e Corea del Sud, anche dall’Unione Europea.

Le implicazioni nel breve periodo
Dall’inizio dell’anno, la previsione dell’introduzione di dazi ha spinto al rialzo i premi negli Stati Uniti, e supportato i premi in Europa (figura 3). I premi sono saliti principalmente per due motivi: sono aumentati gli acquisti sul pronto per assicurarsi materiale non gravato da dazio; i trader hanno proposto premi in salita sul pronto per timore che quanto venduto oggi, debba essere rimpiazzato domani con acquisti a premi più alti a causa del dazio. L’esclusione del Canada ha, in parte, ridimensionato l’impatto del dazio, perché il Canada è di gran lunga il maggior esportatore di alluminio primario verso gli Stati Uniti (figura 4).
Le possibili implicazioni, sulla base dell’attuale situazione, ossia applicazione di dazi sul primario e sui prodotti con la sola esenzione di Canada, Messico, Australia ed Europa si possono sintetizzare come segue:
• Aumento dei costi per il downstream americano dell’alluminio: a questo proposito la Aluminum Association, che rappresenta 114 aziende associate che impiegano 713.000 lavoratori negli Stati Uniti, ha inviato una lettera al presidente Trump affermando che “Le tariffe proposte faranno ben poco per affrontare il problema fondamentale della massiccia sovra capacità dell’alluminio in Cina, mentre si ripercuotono sulle catene di approvvigionamento dei nostri partner commerciali che lavorano secondo le regole “ e possono colpire i lavori a valle che rappresentano il 97% dell’occupazione totale nel settore dell’alluminio. L’allarme è in parte rientrato dopo l’esclusione del Canda e del Messico, ma le preoccupazioni rimangono.
• Aumento dei premi per il primario, che, come abbiamo visto, si è già realizzato ed è ancora in atto.
• Supporto ai premi in Europa: il materiale è stato dirottato dall’Europa agli Stati Uniti perché arrivasse prima dell’introduzione del dazio, con conseguente diminuzione della disponibilità in Europa. Inoltre, con gli attuali premi negli Stati Uniti (Il Metal Bulletin ha rilevato un’ulteriore salita del premio Midwest in concomitanza dell’introduzione dei dazi), il mercato americano rimane comunque ancora attraente, anche per le origini che pagheranno il dazio.

Conseguenze per il medio e lungo termine
Il potenziale di crescita ulteriore del premio USA Midwest potrebbe essere mitigato, poiché è già salito del 96% dall’inizio dell’anno a causa delle speculazioni relative all’indagine della sezione 232. Non pochi operatori sostengono che una tariffa del 10% sembra essere già quasi completamente prezzata nell’attuale premio Midwest. Inoltre risultano disponibili nei porti americani più di un milione di tonnellate di primario. La determinazione di un’entrata in vigore quasi istantanea dei dazi non consente di organizzare ulteriori spedizioni per sbarcare l’alluminio prima dell’implementazione del dazio. Nei giorni scorsi, con la scomparsa del sostegno delle spedizioni verso gli Stati Uniti, i mercati dei premi “dazio pagato” e “dazio non pagato” in Europa hanno visto una diminuzione della disponibilità di metallo a causa di un aumento, o della prospettiva di aumento. Pertanto la salita dei premi potrebbe avere perso slancio e non pochi operatori sostengono che una correzione dei premi sia imminente. Gli Stati Uniti importano più alluminio dalla Russia di quanto facciano dalla Cina. Rimane molta capacità produttiva di metallo in Cina e questa politica, per ora, non sembra cambiare. Dove andrà questo metallo? L’Europa è la destinazione più ovvia e nel breve termine potremmo assistere ad un indebolimento del mercato dei premi. Tuttavia, per ora, si parla di correzione e non di inversione di tendenza, perché Il mercato statunitense dell’alluminio, che continua a soffrire di un deficit di offerta, dovrà continuare a importare fino a quando, e se, la sua produzione non sarà in grado di rifornire gran parte del fabbisogno nazionale. E’ importante notare che la capacità di utilizzo degli impianti di produzione canadesi, i maggiori fornitori degli USA, è vicina al 100% e, pertanto, non potrà essere aumentata in tempi brevi. Nonostante i vari annunci da parte di produttori americani di primario, come la Century e la Magnitude 7, di essere pronti ad aumentare la produzione, si stima che il necessario aumento della produzione durerà da un anno a tre anni. I flussi del primario potrebbero essere lenti a cambiare. Nel lungo periodo, si ritiene che si sentirà maggiormente l’impatto negativo dei dazi, sia sui premi che sui prezzi. Dovrebbe infatti aumentare la produzione di primario negli Stati Uniti, diminuire la dipendenza USA dall’estero (uno degli obbiettivi di Trump) e, di conseguenza, dovrebbero scendere i premi in USA. La riduzione del fabbisogno americano di importare il primario aumenterà i flussi di alluminio verso quelle regioni dove i dazi non ci sono o sono minori, come in Asia e in Europa, aumentando la disponibilità. L’aumento dell’offerta peggiorerà i fondamentali e potrà dunque avere un effetto depressivo dei prezzi quotati sulla Borsa metalli di Londra. Tuttavia già nel medio periodo, e le recenti indicazioni dei mercati finanziari lo testimoniano, i timori di una guerra commerciale tra due giganti come USA e Cina, potrebbero modificare il “mood” positivo che fino ad oggi ha caratterizzato i mercati finanziari mondiali, compresa la borsa dei metalli. Le Borse, infatti, hanno risposto negativamente alla possibilità di una guerra commerciale su scala mondiale, perché i dazi sono visti come la goccia che sta facendo traboccare il vaso su mercati finanziari già intimoriti dalla prospettiva di quattro rialzi dei tassi quest’anno da parte della Federal Reserve. La decisione di Trump di sospendere il dazio sulle importazioni dall’Europa è da considerarsi una parziale buona notizia. I dazi non solo avrebbero aperto la strada ad una guerra commerciale, ma avrebbero avuto anche effetti negativi sull’industria europea a causa delle maggiori difficoltà per esportare verso gli Stati Uniti. L’Europa non è un esportatore abituale di allumino primario verso gli Stati Uniti, pertanto, da un punto di vista delle dinamiche dei premi , poco cambia. L’Europa esporta invece prodotti e semiprodotti di alluminio. Alcuni settori dell’industria europea potrebbero avere dei benefici dalla politica dei dazi. Per fare un esempio, gli Stati Uniti importano ogni anno quantitativi significativi di foglio di alluminio dalla Cina. I dazi sulle importazioni cinesi potrebbero rendere le aziende europee più competitive e aumentare così i flussi di esportazione verso gli Stati Uniti. La buona notizia è “parziale“, perché rimane il pericolo di aumento dei dei flussi commerciali verso l’Europa da quei Paesi i cui prodotti pagano dazio per entrare negli Stati Uniti, come la Cina. Il rischio che le merci cinesi non più esportabili negli Stati Uniti vengano dirottate sui mercati europei è forte. La situazione è ancora in divenire e, pertanto, l’impatto reale delle tariffe sul mercato è incerto. Con la porta aperta ad altri paesi per chiedere l’esenzione, si temono ancora turbolenze legate alle tariffe. Emirati Arabi Uniti, Bahrain, Qatar e Arabia Saudita sono tra i primi esportatori di alluminio negli Stati Uniti e, allo stato attuale non è dato sapere se verranno “graziati “. Gli operatori credono che un’esenzione dei Paesi Arabi spingerebbe al ribasso il premio Midwest, dato che gli Emirati Arabi Uniti rappresentavano da soli il 26,3% di tutte le esportazioni di alluminio verso gli Stati Uniti nel 2017. Tutto ciò causa incertezza in un mercato che dipende dalle importazioni di alluminio primario per coprire la domanda a valle.
Come ha di recente commentato un operatore locale americano, “il dramma non è finito”.